Il cammino di Antonio e Milena con più di una maratona al giorno per 16 giorni, 800 km


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CAMMINO DI SANTIAGO: 16 giorni di vita.

Antonio: “Milena, ho un sogno, percorrere il Cammino di Santiago”.

Milena: “ Antonio, ti faccio vedere una cosa. Questa è la guida al Cammino che avevo comperato già un anno fa. E’ anche il mio sogno”.

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Un obiettivo comune: percorrere il Cammino di Santiago (Cammino francese il “cammino storico”).

Un’unica certezza: 17 giorni a disposizione. Non uno in più.

Si decide di partire in aereo. Da Venezia a Pamplona. Rientro da Santiago a Venezia.

Tempi stretti quindi. E le cose si mettono subito male con zaino smarrito all’aeroporto di Madrid che non arriva a Pamplona con noi. A mezzanotte ci ritroviamo nuovamente in aeroporto per recuperarlo.

La disponibilità di un taxista ci mette in salvo e domenica mattina 9 agosto, nonostante tutto e con qualche ora di ritardo, possiamo iniziare il nostro Cammino da Saint Jean Pied de Port non prima di aver validato la nostra credenziale, il necessario “passaporto”  di questo viaggio.

Ci viene consegnata una mappa che suddivide il Cammino in 34 tappe ; il conto è immediato. 17 x 2= 34

Se riuscissimo  a fare due tappe al giorno…l’obiettivo potrebbe non essere solo “un sogno”.

Ci proviamo.

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I Pirenei ci accolgono con i loro fantastici panorami, ma anche con nebbia e nuvole che rendono però comunque affascinanti anche le numerose ed impegnative salite.

Da subito vediamo una presenza cospicua di italiani di cui però perdiamo le tracce già a Roncisvalle dove quasi tutti si fermano per la notte mentre noi, dopo aver reintegrato, partiamo per la “seduta pomeridiana”.

Il nostro cammino diventa a questo punto un viaggio solitario e così sarà per quasi tutti i pomeriggi della nostra avventura.

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La nostra prima giornata di “prova” decidiamo di chiuderla a Zubiri dopo circa 47 km. Siamo gli ultimi ad arrivare e da subito ci scontriamo con la difficoltà di trovare un letto. La dea bendata, nelle vesti di una “pensionante”, ci viene in aiuto e ci procura un posto per dormire in un paesino 5 km più avanti.

Si tratta di due letti in un garage dove si dorme assieme a pomodori, peperoni, e qualche cassetta di ciruelas. A compensare la difficoltà la cena offerta nell’unica trattoria del paese è ottima e il proprietario del nostro “garage” ci offre abbondante frutta alla ripartenza del giorno successivo.

Non potevamo certo fare i furbi e saltare 5 km! Per cui paghiamo pure 10,00 euro e ci facciamo riportare in auto al punto in cui avevamo interrotto il nostro camminare.

Durante la prima parte del cammino attraversiamo la Navarra, terra di tori e di corride. In ogni paese anche il più piccolo notiamo che in piazza tutto è allestito per ospitare queste strane (per noi) manifestazioni. Anche i bambini dentro i recinti nelle piazze giocano a fare il toro e il torero. Il cappello Rosso è simbolo della Navarra ed anche noi ci dotiamo di questo copricapo che sarà compagno di viaggio fino al termine. Giunti a Los Arcos apprendiamo di essere ormai famosi in tutto il locale dove pernottiamo “a causa” di quei 50 km al giorno che abbiamo percorso.

La Navarra termina con “le mesetas”.

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Se non le “vivi” nemmeno l’immaginazione riesce a descriverle: immense distese di stoppie su altipiani intorno a 1000 metri di altitudine che terminano solo al contatto con il cielo. E tu ti senti infinitamente piccolo rispetto allo spazio che ti circonda. Alcuni considerano queste tappe faticose e monotone decidendo di saltarle facendosi accompagnare in taxi. Noi le abbiamo trovate fra le più affascinanti.

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Tutto il nostro Cammino è stato improvvisato per quanto attiene al punto di arrivo “serale”. Spesso questo ci ha portato in piccolissimi paesi nei quali abbiamo potuto assaporare l’accoglienza semplice della gente del luogo. A Granon troviamo da dormire presso “Ernesto” una sorta di hippy che si accontenta di un “donativo” per i due letti che ci offre. Per cena andiamo nell’unico bar-osteria. E’ tardi, l’oste pur di far mangiare due pellegrini richiama la cuoca da casa che arriva dopo pochi minuti solo per noi. Ci prepara una ottima cena che mangiamo godendoci i vecchietti del “pueblo” che giocano a carte.

La scelta di fermarsi in tappe “alternative” rispetto a quelle suggerite dalle guide ci premierà più volte facendoci scoprire bellissimi posti e bellissime persone.

In 800 km di Cammino abbiamo attraversato paesaggi molto diversi tra loro: le infinite mesetas, i vigneti, i girasoli tanto gialli da far concorrenza al sole, barbabietole dal verde intenso, pini marittimi, eucalipti, lecci, ovunque more.

Dopo i cavalli sui Pirenei ci siamo trovati una mattina circondati da un gregge di pecore bianche con occhi e orecchie nere, nella seconda parte del cammino le compagne sono state per più giorni le mucche e le loro ciambelle.

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Le grandi città sono state per noi momenti di “transito”. Questo però non ci ha impedito di apprezzare le bellezze storiche ed artistiche: cattedrali sublimi, castelli medievali, ponti romani, santuari e conventi.

Nei piccoli paesi sono i campanili ad attirare il nostro sguardo che alzato verso il cielo ci fa scoprire i nidi delle cicogne che hanno trovato comoda collocazione fra le colonne dei due archi che contengono le campane.

Ci riempie di fascino l’attraversare i luoghi simbolici del cammino: Alto del Perdon, Cruz de Hierro, Alto de San Roque, O Cebreiro, Monte Gozo.

Le Fonti. Soprattutto nella prima parte non c’era pericolo di rimanere senza acqua, più di una fontana in ogni piccolo e grande paese. Ma nemmeno il vino si vuol far mancare al pellegrino lungo il cammino che alla Fuente de Irache può mescere tranquillamente e gratuitamente solo gli vien raccomandato di “non sprecare”.

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Tanti incontri lungo la strada verso Santiago: pellegrini da ogni parte del mondo e di ogni età. Facciamo conoscenza con una coppia di anziani australiani in viaggio già da due mesi e mezzo, di numerosi sud africani, statunitensi, inglesi, tedeschi, brasiliani,  due ragazzi italo-canadesi con i quali abbiamo percorso un lungo tratto insieme, naturalmente numerosissimi i francesi e gli spagnoli.

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Il Cammino molto spesso è anche un viaggio originale. Un francese procede in direzione opposta alla nostra perché già sulla via del ritorno assieme al suo asino. Due ragazze francesi anche loro in salita tirano il loro “asino”. Un ciclista spagnolo che il cammino lo percorre facendo 200 foto al giorno così finisce che arriva alla meta sempre dopo di noi. Un’ anziana signora di 78 anni che una sera ci racconta l’esperienza del suo primo Cammino di 20 anni prima e come ancor oggi ripercorra a tappe ogni anno ritrovando sempre lo stesso fascino ed attrazione.

Ognuno interpreta il cammino in modo diverso: una famiglia di milanesi, cane al seguito, decide di alternare qualche km di cammino giornaliero con i transfer in taxi.

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Le  nostre tappe (dalle 10 alle 14 ore giornaliere) ci hanno offerto la possibilità oltre che di ammirare il paesaggio, di pensare, riflettere, di ripercorrere tutta la nostra vita. Ecco il valore aggiunto che fa del Cammino un’esperienza indimenticabile e che ti lascia dentro un piccolo-grande tesoro. (Ombre)

Il cammino è vita: il contatto con le difficoltà, le gioie, lo stupore, il caldo, la pioggia, il dolore e lo scoprire che anche questo lo si riesce a superare.

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Avevamo scommesso su 17 giorni. Ci siamo ritrovati a 60 km dal nostro “sogno” con la possibilità di realizzarlo in 16. La tentazione è stata troppo grande. L’ultima tappa è stata la più lunga, abbiamo visto Santiago quando sul monte Gozo il sole era già basso sull’orizzonte, i km successivi non sappiamo di averli percorsi in quanto l’emozione e la gioia di raggiungere le guglie della Cattedrale ci hanno fatto quasi volare.

Siamo arrivati difronte alla cattedrale che era buio. Il “nostro sogno” era diventato realtà.

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Un abbraccio e il volo in aria dei nostri cappelli rossi.

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L’indomani mattina il sogno è stato veramente completato assistendo alla celebrazione della Messa del pellegrino e dell’oscillare del suggestivo “botafumeiro”: una sorta di grande incensiere che viene fatto volare con maestria sulla testa dei pellegrini dai “tiraboleiros” .

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